Il Colibrì, il nuovo romanzo di Sandro Veronesi
Il Colibrì è la storia di Marco Carrera. Marco cresce nella borghesia fiorentina: il padre è ingegnere e la madre un’architetta snob, che tradisce sistematicamente il marito. Ha un fratello, Giacomo, e una sorella, Irene, che morirà suicida in giovanissima età. L’appellativo “colibrì” gli viene affibbiato dalla madre durante l’infanzia. Come il colibrì, uccellino piccolo ma bellissimo, anche Marco ha caratteri delicati ed aggraziati, ma fatica a crescere di statura. Come il colibrì, velocissimo nel battere le ali per rimanere fermo, piantato in aria, anche Marco impiega tutta la sua energia per resistere agli inevitabili accadimenti della vita, non lasciarsi travolgere, non andare mai a fondo.
Storia di una crisi
Come altri libri di Veronesi, anche Il Colibrì si apre, magistralmente, con una crisi: la crisi del protagonista, che manda in frantumi il suo “mondo”. Un giorno, nel suo studio di oculista, Marco riceve la visita del dottor Carradori, lo psicoterapeuta della moglie Marina, che lo mette di fronte a un’evidenza inaccettabile. Il divorzio, dopo un matrimonio di falsità con quella donna disturbata, mai amata veramente, è inevitabile. Questo evento spalancherà il vaso di Pandora su una miriade di altre evidenze di tutta una vita, altrettanto inaccettabili, che porteranno Marco a rivedere il giudizio su di sé e sui suoi cari.
Amore e morte
La vita di Marco è davvero costellata di grandi difficoltà e di prove da affrontare. Una vita in cui sperimenta un amore assoluto: quello per Luisa, che va avanti – tra lettere, mail e incontri fugaci – senza mai essere consumato, per quasi una vita intera.
Poi c’è il rapporto burrascoso con il fratello Giacomo, anche lui segretamente innamorato di Luisa. Marco nutre nei suoi confronti un grande risentimento perché lo ritiene indirettamente responsabile della morte della loro sorella Irene. C’era Giacomo in casa con lei, quella maledetta notte d’estate a Bolgheri in cui si è uccisa, ma non si è reso conto del suo malessere, non l’ha saputa trattenere. La morte di Irene sarà il primo devastante dolore nella vita di Marco. Il risentimento di Marco nei confronti di Giacomo si affievolirà col tempo: Marco ce la metterà tutta, negli anni, per recuperare invano il rapporto fraterno. In realtà, quello che prova davvero è un grande senso di colpa e un profondo dolore per non esserci stato lui stesso, quella notte, per la sorella (era al primo appuntamento con Luisa in riva al mare).
Marco dovrà anche affrontare la malattia e la morte per cancro di entrambi i genitori, di cui si prenderà cura, con amore e grande tenerezza, praticamente da solo.
Ma il dolore più grande sarà la morte prematura, per un incidente sportivo, della giovane e amatissima figlia Adele, che lui ha cresciuto, da solo e con grande tenerezza, dopo il divorzio dalla moglie. Adele lascia a lui il compito di crescere la sua bambina, Miraijin, l’uomo nuovo, una nuova speranza.
Marco sopporta con stoica dignità tutto quello che gli succede. Sa rimanere saldo in mezzo alla tempesta, cercando di trovare un punto fermo, di mantenersi immobile per non soffrire troppo, mentre tutti gli altri attorno a lui sono molto meno saldi e meno coerenti di lui, meno affidabili, più fragili e più vulnerabili.
Album di famiglia: un puzzle dai mille pezzi
Veronesi ci racconta questa storia familiare – piena di vita, di morte, di sospensioni e coincidenze fatali – destrutturando completamente la trama. Ne risulta un puzzle dai mille pezzi, gli eventi narrati con grande maestria con continui “flash-back” e “flash-forward”.
Alla fine di ogni capitolo non sappiamo mai né quando né dove ci troveremo nel capitolo successivo. In questo tempo fluido, una sorta di “presente della mente”, che ci trasporta dagli anni Settanta fino a un cupo futuro prossimo, si susseguono persone e luoghi che hanno segnato la vita di Marco. E su ogni pagina soffia il vento della nostalgia e, a tratti, del rimorso: le cose non sempre vanno come pensavi o volevi sarebbero andate…
Alla narrazione, portata avanti con uno stile originale, si intrecciano e mescolano pensieri, scambi epistolari, mail, sms, telefonate, fino all’inventario di oggetti e ricordi di famiglia. Con il risultato che il romanzo, alla fine, sembra quasi essersi scritto da sé, caratteristica che ho molto apprezzato.
Ma quale amore
Molti diversi tipi di amore ci vengono presentati in questo romanzo.
La storia d’amore che ci accompagna dalla prima all’ultima pagina è quella fra Marco e Luisa. E’ un amore con la A maiuscola, assoluto, idealizzato. Un amore lungo una vita, un’attrazione viscerale che però non si concretizza mai veramente. Il loro legame, fortissimo, si nutre di parole scritte e missive scambiate per anni, di smarrimento e riscoperta di un’emozione pura, di un assurdo voto di castità che li terrà uniti più che mai.
Poi c’è l’amore tra Letizia e Probo, i genitori di Marco, che ha come mantra il “nonostante tutto”. Un legame che attraversa tempeste di ogni tipo, lutti, suicidi, malattie, tradimenti, ma che resiste fino alla fine dei giorni. Un attaccamento che non sembra, eppure sa di amore: una presenza certa, rassicurante.
E infine l’amore più sincero e profondo, quello che non chiede niente in cambio. Fatto di grande forza e di grande tenerezza, è quello che Marco nutre verso la figlia Adele prima e la nipote Miraijin poi. Un amore incondizionato e generoso oltre ogni limite.
Epilogo e considerazioni finali
Il libro mi ha coinvolto ed emozionato fino a tre quarti della lettura, ma ho trovato il finale lento, surreale e controverso.
Marco, dopo la morte della figlia Adele, ha un compito: allevare l’uomo nuovo, la piccola Miraijin, figlia di Adele, una bambina splendida che “incanta le maestre” e “fa sempre la cosa giusta” e che vediamo crescere e diventare una ragazza bellissima, intelligentissima e impegnatissima… Tutto un po’ troppo assurdamente superlativo, si prova un senso di estraniamento che allontana bruscamente dalla storia… Sarebbe bastato, per tirare un sospiro di sollievo, lo stupore che Marco esprime in una delle sue ultime lettere a Luisa: uno stupore un po’ interdetto di fronte alle gioie inaspettate che gli ultimi anni della sua vita gli portano, nonostante tutto.
E invece no, non è abbastanza: arriva anche la malattia, terribile, a straziare la vita di Marco, poco più che sessantenne. In un’atmosfera assolutamente surreale, va in scena l’atto finale. Grazie all’aiuto Miraijin, Marco riesce a riunire nella casa di famiglia di Bolgheri tutte le persone importanti della sua vita – compresa l’amata Luisa e il fratello Giacomo – per congedarsi da loro in maniera un po’ teatrale, prima di scegliere coscientemente di porre fine alla sua vita.
Un finale da tragedia, che ho trovato troppo forzato, troppo artificioso, troppo doloroso, troppo poco plausibile. Peccato. Lettura comunque consigliata: per me Veronesi rimane uno dei più ispirati scrittori contemporanei.