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Lo zen nell'arte della scrittura

Ray Bradbury (1920-2012) è uno dei più grandi scrittori di fantascienza contemporanei: Fahrenheit 451 e Cronache marziane sono due fra i suoi libri più conosciuti ed apprezzati.

Lo zen  nell’arte della scrittura  è invece un libro più intimo: Bradbury ci parla di se’, dei suoi primi racconti, dell’amore per la fantascienza, di come gli sono venute in mente le idee più importanti per i suoi romanzi, delle sue paure infantili, le sue ossessioni, i suoi amori, la sua famiglia.  Senza ovvietà, Bradbury mette davvero a nudo se stesso, ripercorrendo le tappe della sua vita e del suo lungo lavoro. Tutte le sue vicende personali fanno da sfondo ad un unico scopo: scrivere storie. E Bradbury mostra ai lettori proprio questo: quell’intricato nodo di esperienze esistenziali e arte dello scrivere che nutre le opere di ogni vero scrittore.

A metà tra l’autobiografia e il manuale, qui lo scrittore riporta i principi pratici dell’arte della scrittura: tutto ciò che serve per sviluppare idee originali ed un proprio, personalissimo stile.

Il libro è una vera e propria celebrazione dell’atto sacro dello scrivere, con un’unica regola: seguire i propri istinti e le proprie passioni. E, pagina dopo pagina, ci mostra come il successo di uno scrittore dipenda da quanto conosca bene un unico argomento: la propria vita. Il libro è anzi un vero e proprio elogio della vita stessa e dell’ostinata volontà di raccontarla.

In chiusura del libro ci viene rivelata anche la particolare scelta del titolo: perché proprio lo zen nell’arte della scrittura? Perché anche scrittori e  aspiranti tali, secondo Bradbury, devono rivolgersi allo zen per trovare una  risposta ai problemi di scrittura. Come nell’arte del tiro l’arco, dove passano molti anni in cui, con pazienza, si impara semplicemente l’atto di tendere l’arco e scoccare la freccia, senza mai considerare il bersaglio, così deve succedere nell’arte dello scrivere: lo scrittore, con altrettanta pazienza zen, deve imparare a stare da un lato, dimenticare il bersaglio, lasciare che “i personaggi, le dita, il corpo e il sangue facciano“. Si tratta di una “saggia passività”, conclude Bradbury: perché “verrà un momento in cui i vostri personaggi scriveranno le vostre storie per voi, quando le vostre emozioni, libere dal gergo letterario e dal giudizio commerciale, percorreranno la pagina e diranno la verità”.  Un bell’augurio quello dell’autore a tutti gli aspiranti tali, insieme all’esortazione finale a provare il suo metodo, per trovare una nuova definizione di lavoro: “amore”.

Buona lettura!

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